Lo slogan sembrerebbe adattarsi a ciò che stiamo vivendo.
“Vivere con stile [“clean”] in circostanze difficili” è stato l’imperativo di una generazione, la Mod Generation, capace di attuare una rivoluzione gentile divenuta la rivolta dello stile in chiave sartoriale .

Siamo in Inghilterra nei primi anni ’60 e tra l’alienazione del decennio precedente, con il mondo uscito dalla seconda guerra mondiale, e le illusioni del nuovo decennio che si affacciava, ci furono ragazzi
desiderosi di emanciparsi dal “peggiore dei mondi possibili” attuando il tentativo di differenziarsi dalla cultura dominante e da quella dei genitori.
I Mods (da”Modernism” abbreviato) partirono dallo stile e da ciò che si indossa per rivoluzionare la grigia prospettiva del loro tempo e trovare un posto nuovo nella società che potesse invertire la scala gerarchica.
Precursori di quello che diventerà lo “Swinging London”, si identificarono per un abbigliamento sobrio e raffinato, semplice eppure incredibilmente innovativo.
“Classic with twist “, il classico con un imprevisto, creò un modo di pensare e un fenomeno del tutto diversi dai modelli del loro tempo, lontani dall’uniformità dei completi fumo di Londra e bombetta (come nel film di Alberto Sordi) della city, dai giubbotti di pelle e le moto rumorose dei rocker, dall’eccentricità dandy dei Teddy Boys.

Ma come esercitarono l’abilità e la fantasia di reinventarsi costantemente ed individualmente mantenendo uno stile impeccabile?
L’elitario circuito modernista attinge a ciò che la moda del tempo offre, guarda all’Italia e ai francesi, e combina il tutto con il proprio gusto personale seguendo l’ “adotta, adatta, migliora” come filosofia di vita.
In nome dell’individualismo senza stravaganze e con il culto per la perfezione formale, l’esercizio quotidiano per i Mods fu entrare in un’ottica “sartoriale”.
Guardarono all’Italia e si identificarono per gli abiti sartoriali all’italiana: le silouette erano stringate, con giacche sagomate dal taglio corto e a tre bottoni, con revers stretti. I pantaloni erano dal taglio asciutto e preciso, a sigaretta, con il fondo affusolato a due centimetri dalla scarpa (mocassini o brogues). Le camicie botton down e le cravatte strette.
Stylist dall’eleganza tutta italiana, scelsero gli scooter italiani (Vespa e Lambretta). Su questi scooter personalizzati ad hoc si muovevano tra i clubs underground, proteggendo gli abiti con giacconi Parka.

I capelli alla french-style, corti con la frangetta, un’assoluta novità nella capigliatura maschile per la loro rotondità.
Il loro spirito, assetato di novità e originalità, guardò oltre oceano alle sonorità ricercate ed oscure della musica afroamericana (soul, ska, rhythm and blues, modern jazz).
Fu una vera e propria rivolta stilistica che cessò di essere tale quando i mass media scoprirono i Mods e ne massificarono l’originalità.
Anche il quartetto di Liverpol al suo esordio adottò lo stile Mod: formali ed eleganti, i Beatles conquistarono così la fama di bravi ragazzi, portando una ventata di novità nella musica come nella moda.

Nel ‘79 gli Who (Peter Meaden ne era il manager) produssero “Quadrophenia”, divenuto film culto del Mod Style nel quale un giovanissimo Sting interpreta l’ambito ruolo di “face”, il più invidiato portavoce di classe ed eleganza.
